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Interventi

Abbiamo il piacere di ospitare una nota del Prof Giampiero Ravagnan, già ordinario di microbiologia dell’Università Cà Foscari di Venezia, ricercatore associato senior CNR e che fu componente del CTS ( Comitato Tecnico Scientifico) dell’ICRAM ( Istituto Centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare) che ebbi l’onore di presiedere dal 1986 al 1995. Ricordo che fu proprio un ricercatore ICRAM, il dr Franco Andaloro, che agli inizi degli anni ’90, descrisse tra i primi la tropicalizzazione del Mar Mediterraneo, sulla base dei primi dati evidenziati nelle sue ricerche.

 

Mediterraneo mare tropicale

 

Caro Direttore, quella evidenziata nel link: Temperature Mare Mediterraneo (girovaghi.it)   è  stata la situazione della temperatura  media nella settimana passata  nel Mediterraneo  che, come si può  vedere è   un "mare tropicale"  che fa convogliare al suo interno masse fredde che vengono  dal Mar Nero e dall' Atlantico  e....così si formano nel Mediterraneo i vortici ciclonici.

Questa è una situazione ormai stabilizzata  e deve far riconsiderare molte azioni  a cominciare dalla sistemazione dei Territori più esposti  nel bacino centrale del Mediterraneo: quanto è successo impone  che le Regioni , in particolare quelle del Sud ,  siano messe in sicurezza idrogeologica, che  siano  meglio strutturato  il reticolo   stradale  e soprattutto sia potenziato.  anche  con fondi del PNRR,  il sistema ferroviario  per avere  trasporti commerciali  meno climalteranti, 

Il Partiti  prima di fare proposte "imbarazzanti"   debbono  promuovere al loro  interno  una "sessione  scientifica"   coinvolgendo  gli  EPR ,  le Università   e le Agenzie internazionali  per capire le tendenze  del Mediterraneo che sarà il protagonista  fondamentale  degli eventi meteorologici  e non solo.... poiché l'acqua scaldandosi  cede - per una sua  minore   miscibilità - parte della CO2 disciolta  ( 1,5 kg/mc )   e quindi  questi feomeni  sono  una ulteriore  conferma che per proteggere la Terra bisogna  "curare il Mare".

 La mancanza di una visione e di una puntuale  informazione sull'andamento degli eventi e dei fenomeni attesi a medio termine   non potrà che generare altri errori:   non possiamo più permettercelo....la Comunità scintifica  è sempre a disposizione  per far comprendere l'evoluzione della situazione climatica.

  La  Politica deve farsi carico di scelte che consentano   all'Italia di   essere il Paese trainante per un  governo del Mediterraneo assistendo anche      i Paesi della sponda africana  a partire dalla formazione superiore  di loro competenze in materia di clima, gestione delle fasce costiere  e lotta alla siccità.

 

Per concludere  se consideriamo la situazione  nella domenica 21 ore 9,00 della Temperatura del Mediterraneo( vedi Temperature Mare Mediterraneo (girovaghi.it)  la differenza con la  situazione sopra  descrive da sola  .....quanta  energia si era  caricata in atmosfera e poi è ricaduta in terra  con gli effetti che abbbiamo visto !

La Politica ora , nel suo insieme,  non deve prendere decisioni emotive,  ma  definire   programmazioni  pluriennali   bipartisan condivise  che consentano poi   alle Amministrazioni Locali  gli interventi di lungo termine,  anche oltre la  legislatura : si   deve "guidare un grande moto storico di rinnovamento, di affermazione della dignità, di espansione della libertà ed iniziativa politica di redistribuzione secondo giustizia , di ogni ordine di beni, di approfondimento della vita democratica" (Aldo Moro 1963 )

 

Giampietro Ravagnan

già ordinario di Microbiologia Università Ca' Foscari -ve

ricercatore associato senior CNR

 

 

 

Sul tema del valore strategico della montagna italiana, pubblichiamo una nota del Dr Giampiero Comolli, componente del CTS AIKAL ( www.aikal.it) che ringraziamo per la sua collaborazione


Montagna Italiana risorsa già disponibile per il Paese. Va solo messa a regime, senza foglie di fico.  Lavorare in montagna è un servizio ambientale, sociale, collettivo, imprenditoriale, inclusivo, sostenibile, sussidiario per tutti gli italiani .


Una ricerca condotta nel 2018-2020 dal nostro Centro Studi Analisi Mercato Economico – CevesUni di Piacenza, poi verificata per un eventuale supporto a un progetto rientrante nel Pnrr, sullo “stato” dei territori montani e di alta collina italiani in termini di produttività agroalimentare, ci ha fatto scoprire alcuni dati economici allarmanti, ma interessanti. Come molti atti dannosi, hanno una altro verso della medaglia. In conclusione: il 64% di tutto il territorio nazionale si estende oltre i 350 metri di altitudine, il crinale dal Carso Friulano a Pantelleria è di circa 2900 km. Su 8100 comuni 4250 si trovano in aree svantaggiate definite per legge, pari al 55% del suolo totale, in cui risiedono solo 12-15 milioni di residenti pari al 22-25% del totale, con una media di 50 abitanti/kmq contro i 200-220 in pianura. Purtroppo, ancora oggi,  1800 comuni hanno un tasso di connessione internet, di uso delle tecnologie digitali pari a circa il 10% di quello di altri comuni italiani, addirittura sotto 1,0 MB al secondo. Si comunica solo grazie ai ponti radio. 204 comuni sono addirittura isolati con 500.000 abitazioni non raggiunte da nessuna linea attiva di connessione.  La ricerca ha dimostrato che, con il cambio climatico, con l’urgente transizione ecoambientale, con la riduzione della CO2, l’eliminazione maggiore di sostanze e fattori inquinanti, la necessità di produzioni agroalimentari più sane, l’obbligo di mantenere alta la biodiversità e il rapporto fra suolo produttivo e suolo a riposo, il no spreco, il riuso, una vita più sana e più tranquilla, il bisogno di un modello di vita lavorativa meno stressante, questo territorio nazionale ( i 2/3 del totale) possiede già a un livello quasi ottimale e massimo questi requisiti oggi così idealizzati, politicamente dirimenti, puntati da tutti come obiettivo urgente entro il 2030, o il 2050 o il 2070. A fronte di questo, ma soprattutto per questo sistema geomorfologico e geostazionario, esistono già circa 1,1 milioni di posti di lavoro non occupati e una prospettiva a regime di 2,1 milioni. Quello che manca in primis sono i lavoratori, i residenti, gli abitanti, le famiglie. A seguire , seppur con strade anche agibili per circa il 70% dei percorsi, mancano sevizi alle persone, trasporti, scuole, asili, medici, veterinari, negozi, supermercati, bancomat, hotspot digitali, connessioni, trasporti pubblici, autisti, operai, forestali, ortolani, coltivatori, allevatori, artigiani …ovvero manca la struttura e infrastruttura sociale e civile. Certamente la questione “ ripopolare-rivitalizzare-ricondizionare questo patrimonio della montagna produttiva, ambiente utile a tutti, multilaterale” non si risolve con qualche contributo a pioggia (30 anni di comunità montane anche sulle rive del mare hanno favorito la chiusura di allevamenti e imprese), qualche reddito assistenziale in base ad un Isee individuale e famigliare più o meno vero, con il contributo di 30.000 euro una tantum per ristrutturare il rustico del nonno, con il fondi perduto di 20.000 euro per l’acquisto della pima casa di giovani sposini che poi lavorano a 50-80 km di distanza tutto l’anno e vi risiedono realmente due mesi l’anno, con la vendita a 1 euro simbolico di appartamenti o casolari acquisiti dal comune. No, non si attiva un processo attivo duraturo di prospettiva sicuro e lungimirante.  Il lavoro in montagna c’è, sia come impresa agricola che come servizi a terzi, come commerciante che come curatore idrogeologico, come maestra d’asilo e anche come barista. Mancano fisicamente i lavoratori, di qualunque età origine cultura; manca una volontà pubblica dello Stato-Regioni a attivare un progetto piano programma intersettoriale, polifunzionale, multilaterale che porti in queste aree svantaggiate, difficili, lontane, vulnerabili dai cambi climatici, suscettibili di danni idrogeologici, in assenza di cura e manutenzione da decenni, abbandonate da milioni di giovani …soprattutto e in primis tre cose: servizi pubblici e privati civili e sociali presenti efficaci veloci indispensabili funzionanti con tecnologia interattiva e attività lavorativa sul posto ; contratti di lavoro con funzioni volontarie libere e aperte ma indeterminati (nuovo jobsact e nuvi contratti di sistema e non di categoria nazionali ); un reddito di sostegno a fronte di attività e ore di lavoro dedicate alla collettività locale e per l’azione di presidio fisico verso terzi. La ricerca di CevesUni ha anche quantificato il costo, certo, c’è un costo della collettività a carico dello Stato e delle Regioni poprio perché questa rivitalizzazione, riappropriazione, riattivazione di borghi, frazioni, paesi ha anche lo scopo di prevenzione, protezione, assistenza di un territorio abbandonato da decenni che può, in modo formale e sostanziale, anche rotolare a valle e portare danni nei fondovalle, nei paesi e città più grandi, nei centri artigianali, nelle fabbriche di pianura. Un sostegno al reddito primario ( agricoltore, ortolano, allevatore, maestra, farmacista, autista, forestale, cantoniere, stradino….) dovuto non per trovare un lavoro, ma per svolgere un lavoro che c’è già e che serve a tutti….anche a chi abita a Milano, a Roma, a Napoli, a Torino.  Il costo è alto, ma inferiore ad altre formule avviate recentemente: l’investimento pubblico nei primi tre anni (certo i miracoli non si fanno in un giorno) è di 6,7 miliardi di euro del Pnrr all’anno per attivare i primi 1,1 lavoratori (priorità a chi si trasferisce con la famiglia, di età inferiore a 40 anni, con titolo minimo scolastico inerente al lavoro, aperto a italiani e non, a chi può dimostrare o ha intestato un bene in loco che diventa la residenza fissa) per arrivare a 2,1 milioni di lavoratori lungo l’asse di 2900 km del crinale Carso-Pantelleria nazionale.  Lo stesso studio, a valori economici stazionari degli anni 2018-2020, ha calcolato che dal terzo anno in poi il modello Monti&ColliAlti è in grado di produrre risorse e valore in loco e sul mercato ( di carattere privato e di servizio pubblico)  per 3,1-3,5 miliardi di euro all’anno e sicuramente in crescita negli anni successivi incrementando il numero di attività e di lavoratori, qualche punto % del Pil e della Plv nazionale. Questo conferma che l’agricoltura non è più il settore primario dell’economia, ma addirittura diventa “il comparto” primario assumendo e integrando attività trasversali e con azione “multilaterale”, termine ben codificato da Draghi più volte in Parlamento, in un territorio difficile e vulnerabile, dove ambiente e coltivazione, allevamento e disinquinamento, lavoro manuale e no spreco, salubrità e presidio, vendere medicine e fare la barista, pulire un argine e un canale e guidare il pulmino dell’asilo…..diventano un tutt’uno, senza comparti stagni, senza differenze di lauree e ruoli, senza contratti sindacali fossilizzati e inutili con il cambio vitale di oggi.  CevesUni punta di più su una economia reale che a una economia finanziaria, esaltando ancor più i lavori da remoto quando possibile, le vendite interattive, le commissioni virtuali……ma svolte sul monte Penna e non a Genova. Ecco tutto questa “polifunzionalità e multilateralità integrata con il digitale e con lavori aperti ma residenti in area vulnerabile ma non più svantaggiata in termini di servizi e di assistenza” se sviluppata e sostenuta in un territorio di spazi ampi non è ha solo la funzione di tutelare, curare, servire un patrimonio ambientale che deve crescere in ogni caso in naturalità e salubrità ma può essere da subito un progetto reale di transizione ecosistemica. In aree metropolitane le risorse finanziarie seppur notevoli necessitano di un processo di riconversione e di trasformazione con tempi più lunghi per gli ampi cambi infrastrutturali, mentre con il progetto, anche di strategia e di programma politico, “Monti&ColliAlti” (brand ®© di CevesUni) va ad innestarsi su un sistema reale esistente che va solo innovato, digitalizzato, modernizzato, tecnologicamente supportato.  

Giampietro Comolli  

 


ALEF - Associazione Liberi e Forti

Si discute molto di nuovo centro della politica italiana e di terzo polo. Pubblichiamo questo bel saggio del dr Aldo Mariconda, un liberal democratico repubblicano veneziano.


Vi è spazio per un Terzo Polo in Italia?

Aldo Mariconda - 20/04/2023

Poniamoci la domanda

La rottura Calenda/Renzi, le divergenze con +Europa rischiano di costituire la pietra tombale per il lancio di una terza forza liberaldemocratica, già dopo gli insuccessi subiti nelle elezioni regionali a Milano e Trieste.

È legittimo porsi la domanda, a prescindere dalla ricerca e il rimpallo delle responsabilità, dal fatto che sia Azine che IV sono due partiti personali, alla moda attuale[1], e viene anche il dubbio che qualcuno ai vertici si sia posto la stessa dopo i più i citati risultati elettorali. Quale target si pongono Calenda che giustamente credo ha accolto una Carfagna e una Gelmini, si è forse illuso di una Moratti che a Milano poteva rappresentare un veicolo per attrarre un voto borghese ex F.I., e ora un Renzi che accetta la direzione del Riformista con un direttore responsabile che non è come si mormorava Stefano Feltri cacciato da Domani ma Andrea Ruggeri ex deputato di Berlusconi.

Ed è anche credo doveroso chiederci perché tanti tentativi più o meno analoghi sono falliti. Ricordo quello di Enrico Cisnetto se non erro dei primi anni 2000, Scelta Civica di Mario Monti, Fare per fermare il declino del Prof. Michele Boldrin, economista alla Chicago University e incarichi anche a Ca’ Foscari e di Oscar Giannino. La stessa nascita di +Europa pur derivante dal Partito Radicale aveva lo stesso obiettivo. E dimentico altre esperienze.

Perché questi insuccessi?

Caratteristica comune è stata genericamente l’impronta liberal-democratica, comunque diretta:

·      ad occupare uno spazio tra un centro-destra prima imperniato su FI/Lega poi cresciuto e allargato col successo di F.lli d’Italia, e una sinistra populista 5S ed una quanto meno confusa, a volte contraddittoria e a mio avviso conservatrice del PD

·      a creare condizioni per uno sviluppo economico attraverso riforme che potessero invertire la cronica stagnazione che ha caratterizzato l’economia italiana negli anni pre-Covid che ha progressivamente perso attrattività per chi investe. Il tutto premessa necessaria a ripensare e sviluppare il welfare, oggetto di tagli progressivi che hanno riguardato un po’ tutti i settori compresi gli organici della struttura pubblica in generale.

Un tentativo di risposta

Temo che non sia né breve né semplice, perché a mio avviso vanno tenuti in considerazione vari fattori:

·      Un primo, costituito dallo scenario mondiale seguito alla caduta del muro di Berlino

·      Un secondo, più legato alle peculiarità del sistema Italia.

Dal capitalismo al turbo-capitalismo

Non dimentichiamo cose già note. Repetita iuvant! La globalizzazione è stata un potente fattore di cambiamento. Tra gli effetti:

·      Fallimento del comunismo. Alla caduta del muro, si osservava, nella Germania Est si faceva finta di lavorare e lo Stato faceva finta di pagare. Povertà diffusa, salvo pochi magnati, qualità scarsa delle produzioni industriali. Una Trabant era una baracca e inquinava 10 volte il vecchio maggiolino VW.

·      Rivoluzione delle filosofie della produzione. Le delocalizzazioni erano già iniziate prima. V. Timisoara appendice dell’industria trevigiana e veneta già alla metà degli anni ’80. IBM che nel 1983 o 1984 lancia i suoi PC a prezzi alti per poi dopo pochi anni decentrare la produzione in Cina[2]. Già Margareth Thatcher aveva trasformato gli UK in un paese di servizi più che di industria. La caduta del muro ha accelerato il fenomeno. In Occidente si fa prevalentemente montaggio di pezzi prodotti altrove, V. la struttura dell’auto tedesca, o Detroit diventato un cimitero industriale, oppure sono rimaste produzioni ricche, ad alto margine. Solo nella crisi 2008/2013 in Italia hanno chiuso un 25% di aziende – prevalentemente dedicate alla sub-fornitura – e abbiamo perso quasi altrettanto in termini di produzione industriale.

·      È aumentata la ricchezza in molti paesi, non solo i BRICS[3] (pur in misura diversa) ma in altri paesi emergenti

·      In Occidente si è allargata la forbice ricchi/poveri, con un aumento della povertà e semi-povertà e una progressiva concentrazione della ricchezza. Questo fatto, unito all’esplosione dei fenomeni migratori dovuti sia a guerre che a cambiamenti climatici, ha aumentato il disagio sociale, che ha causato anche rivoluzioni nel comportamento degli elettori. La sinistra dei democratici americani è ad esempio divisa tra una posizione classicamente liberal più presente nelle coste East e West, mentre l’operaio vede l’immigrato come un pericolo concorrenziale che contribuisce a tenere bassi i salari.

·      Analogo divario si sta allargando anche tra paesi dove la ricerca costituisce elemento strategico di punta, e a monte la scuola, l’università e la formazione continua, e gli altri. Basti vedere da un lato alcuni paesi del centro/nord Europa rispetto a Grecia e Italia.

Alcune peculiarità del sistema Italia

Riporto quanto scrive Salvatore Rossi[4]: “Negli oltre cinquant’anni trascorsi fra il 1968 e oggi la ricchezza del nostro paese è molto cresciuta ed è salito il tenore di vita dei suoi cittadini, anche di quelli delle aree meno sviluppate. Tuttavia, mutatis mutandis, in relazione al passare del tempo, la funzionalità dell’economia appare per alcuni aspetti (produttività, competitività) peggiorata, o comunque non migliorata. Alcuni tra i segni di regresso o di stasi sono stati a lungo condivisi con altre importanti economie europee, come la Germania, ma altri sono specifici del nostro paese. In particolare, non sono ancora mutati certi tratti strutturali di debolezza dell’economia italiana, assoluti e relativi: un reddito pro-capite contenuto, riflesso di un tasso di occupazione ancora basso nel confronto con gli altri grandi paesi avanzati, nonostante i recenti progressi; una dimensione media delle imprese, relativamente piccola e un assetto proprietario ancora per certi versi premoderno, basato sul controllo e sulla gestione familiari, il dualismo Nord e Sud, una specializzazione produttiva poco incline alle tecnologie innovative; mercati dei beni e, soprattutto, dei servizi con residue imperfezioni della concorrenza[5].

Viene allora da chiedersi a che cosa è servita la politica economica di tutti questi anni? I fatti appena ricordati gettano più di un’ombra sul ruolo che l’azione di governo dell’economia ha avuto in Italia negli scorsi decenni. È legittimo il sospetto che vi sia nella politica economica italiana un qualche malfunzionamento fondamentale inerente alle caratteristiche del sistema politico, che la Prima repubblica sembra avere lasciato almeno in parte in eredità alla Seconda e da questa alla Terza”.

Trattasi di tematiche che richiederebbero un lungo approfondimento. Mi limito a citare alcuni elementi critici, quali:

1.     Il declino dell’Italia industriale[6]; mancanza di una politica industriale, fallimento di quella per il Mezzogiorno, mancanza di una seria legislazione antimonopolistica, scelte economiche spesso antiliberiste.

2.     Scarsa produttività. La causa principale del fenomeno sta nella dimensione media piccola delle imprese italiane. Con conseguente gap quanto a R & S. Tra il 1998 e il2017 gli investimenti in beni immateriali (costituiti per oltre la metà delle spese per Ricerca e Sviluppo e per i brevetti) sono cresciuti meno del40% in Italia, contro l’85% circa in Francia e Germania e l’oltre 160 della Spagna[7].

3.     Vi è peraltro un gruppo d’imprese di successo, prevalentemente grandi o, soprattutto medie, non solo manufatturiere, che assumono lavoratori qualificati, pagano salari più elevati, hanno investito per affrontare la globalizzazione, sono il fulcro del ns. export.

4.     L’università italiana – pur varando meno laureati rispetto ai vicini europei e con un rapporto sfavorevole quanto a numero dei docenti rispetto agli studenti - prepara alcuni ottimi laureati ai diversi livelli che poi finiscono all’estero anche trovando spazio nelle università straniere[8].

5.     Di fronte a questi ultimi due elementi che sono di eccellenza, oltre alla citata presenza diffusissima della microimpresa con meno di 10 addetti, spesso a bassa produttività e rivolta al mercato interno, elementi che affossano l’attrattività e la produttività del paese sono:

o   Un corpus normativo che Nordio anni fa definiva 10 volte quello della Germania e Il Sole 24 Ore 5 volte la Gran Bretagna. Per giunta complesso, confuso, di difficile lettura, con troppe aree grigie, contraddittorie e di facile contestabilità.

o   Una Pubblica Amministrazione farraginosa, lenta, più orientata alla procedura che alla soluzione dei problemi, con personale ai livelli medio/bassi poco pagato e dirigenti massimi invece strapagati, almeno nei confronti con altri paesi, USA in primo luogo. Nessuno è riuscito a riformarla[9]. Vi sono, aggiungo, anche procedure autorizzative lunghe e complesse accompagnate poi a scarsi o mancati controlli e sanatorie facili e generalizzate[10].

o   La Giustizia lenta, complicata, caratterizzata da lobbies intoccabili perché i magistrati sono molto più pagati, in rapporto al PIL, rispetto ad altri paesi europei p.es. la Germania e hanno un percorso di carriera di fatto legato all’anzianità e non al merito, e vi sono circa 250.000 avvocati, 1 ogni 240 italiani. Solo a Roma vi sono più avvocati che nell’intera Francia. Il fatto che il sistema Giustizia abbia un costo medio per il cittadino italiano più o meno allineato a quello degli altri paesi europei ma che l’incidenza del costo dei magistrati sia di gran lunga superiore, è la causa alla base della carenza di organici, anche quanto a cancellieri, ufficiali giudiziari, personale amministrativo. Vi sono dei meccanismi che moltiplicano il carico di lavoro del magistrato e prima dell’avvocato. Un recente esempio può essere riferito alla procedura di conciliazione introdotto dalla riforma Cartabia. Subito l’avvocatura si è vista mancare filoni di attività ed è riuscita ad imporre la necessità di assistenza del legale anche di fronte al conciliatore. La Giustizia è argomento tabù in Italia. Nessuno più ne parla andando a fondo dei problemi. Lavoce.info ha scritto un articolo lucidissimo nel 2006, senza poi riprendere l’argomento[11]. Una voce fuori dal coro è quella di Camillo Davigo che spiega come alcuni meccanismi moltiplicano il carico di lavori del magistrato e inevitabilmente offrono occasione di lavoro all’avvocato[12] Giornali e TV ignorano l’esistenza del CEPEJ – Commission Européenne pour l’Efficacité de la Justice e organismo del Consiglio d’Europa – che offre rapporti biennali con i dati di confronto tra i paesi aderenti[13]

o   Un fisco complicato, a volte vessatorio ma con tolleranza di fatto di larga evasione o elusione, con mancati incroci e controlli.

o   Scarsa cultura del Merito, della Concorrenza, del Mercato. Non si è fatta una politica delle privatizzazioni se non per tappare dei buchi di bilancio o concedere benefici[14] (autostrade insegnano). Siamo ancora forse influenzati da un retaggio storico, conta l’individuo, la famiglia, l’amico, le conoscenze contano più della conoscenza, fino all’estremo – qualche volta - del detto di Giolitti, La Legge è Eguale per tutti, ma per gli amici la si interpreta.

Sta di fatto che l’Italia nei 20 anni pre-Covid non ha avuto sviluppo, anzi ha perso qualche punto di PIL pro-capite, al contrario di tutti gli altri paesi OCSE, Grecia a parte:                                    From OECD ECONOMIC SURVEY OF ITALY– EXECUTIVE SUMMARY – April 2019

Quanto descritto è assolutamente scontato a livello accademico e degli osservatori internazionali, oltre all’OCSE (OECD) dal FMI, la Commissione EU, ecc. Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani OCPI, c/o l’Università Cattolica di Milano, elenca i mali italiani come segue[15]:

1.     Evasione fiscale

2.     Corruzione

3.     Eccesso di burocrazia

4.     Lentezza della giustizia

5.     Crollo demografico

6.     Divario tra Nord e Sud

7.     Difficoltà di convivere con l’Euro

E conferma la perdita di competitività del sistema Italia. E quanto all’Euro, riconosce che questo probabilmente ha causato il peggioramento della nostra performance economica, già di per se non particolarmente brillante, negli ultimi due decenni (1998 – 2018). Quello che è successo è che, per un insieme di rigidità i comportamenti e strutture, non siamo stati capaci di adeguarci a vivere con una moneta comune al resto d’Europa perdendo competitività e capacità di crescita. Ma afferma anche che ora sarebbe un errore uscirne.

E la perdita di competitività ha un parallelo nella perdita di attrattività per chi fa impresa. Federico Fubini sul Corriere della Sera ha chiaramente descritto come in Italia non si investa adeguatamente[16]

Populismo e sovranismo

Un senso di disagio è diffuso in tutto l’occidente, per i motivi sopra descritti e peraltro ben noti. Un vento di destra soffia forte negli USA con Trump che gode ancora di largo consenso, l’evoluzione dei Repubblicani, in Svezia e in Finlandia le elezioni hanno portato le destre al governo. Vediamo le turbolenze della Francia, Macron impopolare, le sommosse in piazza prima coi jilets jaunes ed ora con le pensioni. E soprattutto, sempre in Francia, con quasi estinzione dei partiti tradizionali, i socialisti scesi al 2%, i successi a sinistra (estrema) di Melenchon, a destra di M.me Le Pen e Zemmour (con la nipote della Le Pen Marion Maréchal ancora più estremisti). Disagio, rancore, scontento, incertezza conducono sia al populismo spesso associato al sovranismo, e al distacco/sfiducia totale vs. la politica e quindi l’assenza dal voto. Il tutto accompagnato da una ricerca del nuovo e da un’aspettativa che si possano risolvere problemi complessi e consolidati nel tempo con la bacchetta magica e in tempi brevissimi[17].

Il tutto aggravato dall’inflazione che ovviamente pesa maggiormente sulle categorie più povere.

E se il vento soffia forte a destra, è facile uno scivolamento della sinistra su posizioni estreme e rivendicative, in termini di adeguamento salari, più welfare, ecc., a prescindere dai costringimenti dei bilanci pubblici assai preoccupanti per l’Italia dove il debito è salito spaventosamente e gli interessi pure, particolarmente in Italia[18].

Concludendo

A livello delle scelte politiche di governo

È evidente che solo una strategia di sviluppo potrà salvare l’Italia da un processo di decadenza in corso da anni. E solo radicali riforme potrebbero aprirne la strada, per diventare un paese attraente per chi investe, fa impresa. Ed è conditio sine qua non per rafforzare il welfare. Riforme vuol dire anche toccare un establishment trasversale e consolidato, in particolare quanto a taglio e semplificazione legislativa, PA e Giustizia. La storia è anche lastricata di buone intenzioni, p.es. ricordiamo Tremonti e Calderoli in TV nel 1994 davanti a pacchi di scartoffie promettendo tagli, T.U., semplificazioni. Basterebbe nominare un manager, della forza di un Marchionne o di un Colao, magari affiancato da un Vice come un Sabino Cassese, per individuare le aree critiche e più oggetto di contese giudiziarie. Ma chi ha il coraggio di farlo? Con la lobby degli avvocati? E chi ha il coraggio di allineare gli stipendi dei magistrati a parametri meno da privilegio, magari a partire dai nuovi assunti?

Ma a livello dell’azione dei partiti

Di fronte al disagio, al rancore descritti, unito a un analfabetismo abbastanza generalizzato sui temi della politica e dell’economia, come acquisire un consenso importante di fronte a un populismo trionfante[19]?

Inoltre, siamo sicuri che anche gli attuali aderenti al c.d. Terzo Polo siano convinti di questo? Vedo un mix assai eterogeneo quanto alla provenienza degli iscritti, e una sovrapposizione tra chi mira a un moderatismo classico e chi invece crede nelle riforme radicali che ho descritto. E anche risalendo nella storia dell’antifascismo vi è stata una bella differenza tra un moderatismo che ha di fatto tollerato la marcia su Roma e l’avvento della dittatura, e pochi anche borghesi come Camillo e Adriano Olivetti o anche mio nonno Gustavo Visentini a Treviso, affermato avvocato, che ha avuto nel 1922 lo studio devastato dalle squadracce, col figlio Bruno che poi è stato attivo nel partito d’Azione[20].

Il moderatismo ha poco spazio. Secondo Alessandro Campi, Marcello Sorgi[21] e altri politologi, prima questo segmento era imperniato su ¾ della DC[22], poi su Berlusconi e tende oggi ad andare vs. la Meloni che si muove abilmente catturando consensi in quest’area.

E se le previsioni economiche oggi non sono molto rosee ma dominate dall’incertezza, come dal Economic Outlook del IMF[23] che ho ricevuto ora, quel disagio che ha portato al populismo/sovranismo temo aumenterà e creare un’alternativa agli estremismi comporta anche la necessità di una leadership capace di lanciare un messaggio comprensibile. Ma a quale target elettorale?

Credo che andrebbe aperto un dibattito, non col limite delle chat su WhatsApp, e non con una leadership imposta dall’alto perché due o più galli in un pollaio, per giunta stretto, non offrono oggi una garanzia di futuro. Sono personaggi validissimi, hanno creato i due partiti, Azione e IV, ma oggi sono un limite, anche come immagine, allo sviluppo di un’area liberaldemocratica vera e con possibilità di affermazione. Io sono un cane sciolto, ho 86 anni e non sono in grado d’influire sul corso degli eventi. Io credo:

1.     Che un lancio molto ben organizzato di un partito unico, pur attraverso la transizione di una coalizione, avrebbe costituito un asset importante e di affermazione

2.     L’affermazione di un partito abbia delle similitudini con le teorie di MKTG sul ciclo di vita del prodotto: la fase iniziale è la più difficile, e le débâcle elettorali e le baruffe chiozzotte possano costituire la pietra tombale.

3.     Forse unico modo di uscirne potrebbe essere una forte provocazione della base: dimissioni di tutti gli organismi, comunali e provinciali, con richiesta di congressi, dalla base al vertice fino alla nomina di una nuova leadership.

Wishful thinking?

È probabile, ma altrimenti temo sia finita.

 

 

 

Aldo Mariconda: nascita 1937, dirigente industriale e poi consulente, ora in pensione. Ha lavorato nel settore commerciale e MKTG e anche nel controllo di gestione. Direttore di filiali Olivetti a Reggio Emilia e a Venezia, nel 1971 al MKTG Ivrea e poi in USA. Poi a Parigi e a Copenhagen. Nel 1978 a Milano, assistente del Direttore Generale Olivetti Italia. Dopo una breve esperienza con Rizzoli-Corriere della Sera, nel 1983 crea una piccola impresa a Venezia specializzata nella fornitura di software contabile e fiscale, e Excellence Center Microsoft Education. Consulente e molto dedicato alla formazione aziendale dal 1992, chiamato da France Télécom a Parigi – dal 1995 al 1998 - a presiedere Advanced Communications for Europe, associazione comprendente sia gli incumbent operators che molti new entrants, con lo scopo di promuovere lo sviluppo economico attraverso la deregulation TLC.

Laurea in legge nel1961 a Padova. Vari corsi, di MKTG alla Harvard Business School, Management control systems alla London Business School, Ashridge, Management Center Europe, CEGOS Paris.

Impegno giovanile nel PRI. Breve esperienza come candidato sindaco a Venezia nel 1993 da indipendente con la lista della Lega Nord, perdendo al ballottaggio con Cacciari sfiorando il 47%. Non ha accettato la candidatura al Senato nel 1994 perché non leghista, né un’offerta di Casini di rappresentare il suo partito a Venezia (dopo avergli fatti da consulente nel 1997 per la deregulation TLC) perché non credente (pur stimando moltissimo Casini).



[1] Chi ricorda la Prima Repubblica, pur con tutti i difetti che aveva, sa che tutti i partiti, DC e PCI in primis ma anche i piccoli come il PRI avevano una prassi democratica che partiva dai congressi di sezione per salire via via al comunale, provinciale, regionale e finire al nazionale, dove persone gruppi e correnti si confrontavano e venivano espressi i leader. Oggi nemmeno il PD è così con una Schlein espressa da un referendum aperto agli esterni al partito, ed è uscita segretaria causa questi.

[2] Ad una ditta locale con l’impegno di mantenere il marchio IBM per 10 anni sui prodotti per poi rinunziarvi. Poi IBM si è riorganizzata prevalentemente puntando sui servizi

[3] Brasile, Russia, India, Cina, Sud-Africa

[4] In La politica economica italiana dal 1968 ad oggi, Anticorpi Laterza, 2020. L’autore è stato direttore generale della Banca d’Italia e presidente dell’IVASS (istituto di vigilanza delle assicurazioni) e presiede la Federazione tra le Scuole Superiori Universitarie (Normale e Sant’Anna di Pisa, IUSS di Pavia.

[5] Commento mio. Sottile understatement!

[6] Costituisce anche il titolo di un libro di LUCIANO GALLINO, Einaudi, 2003, che tra l’altro scrive, Politici e manager senza visione del futuro hanno trasformato l’Italia inn una colonia industriale. Per recuperare terreno occorre una politica economica orientata verso uno sviluppo ad alta intensità di lavoro e di conoscenza.

[7] Ancora V. Salvatore Rossi, pag. 173

[8] Malgrado alcune criticità dovute a selezioni di docenti ancora di metodo baronale non sempre basate sull’esaltazione del merito

[9] Interessante il volume, autore anonimo: Io sono il potere, Confessione di un capogabinetto, Serie Bianca, Feltrinelli

[10] Moltissimi abusi edilizi sono sanabili; le Soprintendenze ai beni culturali e ambientali hanno scarsi poteri per imporre restauri e soprattutto perché vengano eseguiti a norma e con i materiali appropriati.

[11] Non fa una bella figura l’Italia in tribunale, di Daniela Marchesi, Lavoce.info, 26/10/2006

[12] Piercamillo Davigo: In Italia violare la legge conviene – VERO. - Idòla Laterza 2018

[13] La spesa per la giustizia in Italia è abbastanza in linea con gli altri paesi EU:

 

La tabella seguente dimostra come il compenso dei magistrati sua molto più alto in Italia e gli avvocati siano moltissimi, 388 per 100.000 abitanti contro i quasi 100 della Francia e per toccare il minimo in Svezia con 59.

 

beginning of career

end of career

Average gross annual salary

Initial salary

Final salary

Lawyers x 100.000 ab

Financia Resources - Judicial System in Euros x inhabitant

France

1,3

3,4

             35.763

        46.492

          121.594

          99,9

          75,0

Germany

0,9

1,6

             53.688

        48.319

            85.901

       198,9

        131,2

Italy

1,9

6,4

             29.343

        55.752

          187.795

       388,3

          83,2

Spain

2,1

6,4

             23.033

        48.369

          147.411

       304,6

          92,6

Sweden

1,8

3,1

             40.706

        73.271

          126.189

          58,6

        117,5

 

Tengo a precisare che non ho nulla contro magistrati e avvocati. Ne ho avuti anche molti in famiglia conosco e stimo molti professionisti. Dico solo che i numeri evidenziano una situazione anomala, in Italia, rispetto ad altri paesi EU

 

[14] La Svezia ha seguito un criterio che ha causato sviluppo: infrastrutture pubbliche, servizi privati e in concorrenza

[15] Nel volume I Sette Peccati Capitali dell’Economia Italiana, Feltrinelli 2018

[16] Articolo del 20/004/2023: Solo nel 2022, tra settore pubblico e settore privato, la Francia ha investiti 474 (m. di  €) in più. In un solo anno i nostri due principali partner e concorrenti hanno dispiegato in ricerca, macchinari e infrastrutture somme pari – rispettivamente – a oltre un Recovery e a oltre due Recovery in più rispetto all’Italia.,,,, La Francia sviluppa un PIL di un terzo maggiore del nostro, ma investe due terzi in più. La Germania ha un PIL pari quasi al doppio del nostro ma investe più del doppio rispetto a noi. … Lo stato francese nel 2022 ha investito il doppio dello stato italiano, le imprese francesi oltre duecento miliardi in più rispetto alle imprese italiane. … Immaginiamo di proiettare un simile ritardo sui prossimi dieci anni e l’arretratezza dell’Italia rispetto alla frontiera europea – non parliamo anche di Stati Uniti o Giappone – sarebbe abissale.

[17]Vi sono studi approfonditi. Tra questi:

Ilvo Diamanti e Marc Lazar, Popolocrazia, La metamorfosi delle nostre democrazie, Tempi Nuovi – Laterza, 2018

Vincent Pons: Liberté, égalité, fragilité: The Rise of Populism in France,Harvard Business School, 9-717-052, REV: June 25,02019

Vincent Pons, Elena Corsi, stesso titolo, aggiornamento, Harvard Business School, 9-719-075, REV: June 25, 2019

Rawi Abdelal, Dante Roscini, Elena Corsi: The Rise of Populism and Italy’s Electoral “Tsunami”, Harvard Business School, 9-719-042, REV: June 7, 2019, particolarmente riferito ai risultati elettorali del 2018.

[18]

 

in miliardi

in % sul PIL Pro-capite

 

Diff. su 2019

Italia

         83,6

           4,1

   1.398,1

         38,4

Francia

         85,6

           2,9

   1.245,2

       142,5

Austria

           6,3

           0,7

       791,2

-        10,9

Belgio

         10,5

           1,7

       894,3

         11,7

Spagna

         32,0

           2,2

       664,8

         12,7

Polonia

         22,0

           2,9

       556,1

       201,4

Finlandia

           2,4

           0,8

       428,7

         14,3

Germania

         32,5

           0,8

       385,6

         18,6

Danimarca

           2,0

           0,5

       337,3

-        13,0

Paesi Bassi

           5,8

           0,6

       326,5

-          6,5

Area €

       280,2

           1,9

       796,3

         63,6

 

[19] Definendo per populismo la proposizione di soluzioni apparentemente semplici a problemi complessi, da Marc Lazar e Ilvo Diamanti.

[20] G. Salvemini in La dittatura fascista in Italia, ripubblicata nel volume Scritti sul fascismo, 1, Feltrinelli, pagina 124 riporta l’episodio del 1926: A Treviso i fascisti distrussero i locali del chimico Fanoli, gli studi degli avvocati Grollo e Visentini, l’officina industriale dei fratelli Ronfini, e la clinica del dottor Bergamo, deputato al Parlamento.

[21] Campi: Il Gazzettino, La politica di centro alla ricerca di una casa; Sorgi, La Stampa, Se al centro adesso c’è Meloni, entrambi del 14/04/2023. Ma sono solo 2 esempi perché è opinione diffusa sui media.

[22] L’altro quarto più o meno confluito nel PD

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